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Attualità domenica 09 dicembre 2018 ore 08:30

La mia piazza Dante

Foto di Riccardo Marchionni

Su #tuttoPIOMBINO la piazza Dante di Gordiano Lupi, quella dei ricordi, dei doppi turni, delle partite a pallone e del carrettoni di Ponzo



PIOMBINO — Piazza Dante è il ricordo della scuola elementare, dei tempi in cui bastava un edificio stile liberty per contenere tutti gli alunni di Piombino. Un solo palazzo era sufficiente anche per la scuola media, in via Renato Fucini, stessa costruzione imponente di marmo bianco, drappeggi di cotone per coprire grandi finestroni stuccati in stile I ragazzi della via Pal, con la stessa magia della Hogwarts di Harry Potter, cancellata di ferro battuto, sovrastata da cadenti pennoni di cemento. 

Piazza Dante si raggiungeva in pochi minuti da via Gaeta, la strada della mia infanzia, mio nonno mi accompagnava a scuola e veniva a riprendermi e ogni giorno mi raccontava una storia diversa, non ho mai capito dove le andasse a pescare. Se avessi avuto la sua fantasia sarei diventato davvero un grande scrittore. Ma è andata così. Non ci lamentiamo. 

L’orario dipendeva dai turni, di scuola ce n’era una sola quindi si andava un mese al mattino e un mese al pomeriggio. La colazione si comprava alla Coop in Corso Italia, ma il negozio ha resistito poco, poi hanno messo su una sala giochi con biliardini, flipper, ping-pong e persino un orso meccanico che si colpiva con una finta carabina ad aria compressa e ogni volta emetteva suoni gutturali come se fosse stato davvero ferito. La colazione si poteva acquistare anche al forno di via Torino dove c’era la schiaccia più buona del mondo, ma le bocche di leone ripiene di meringa e alchermes erano ottime pure alla Coop e secondo mia madre costavano meno. Non era un fattore da sottovalutare, ché negli anni Sessanta un operaio delle Ferrovie dello Stato mica se la passava tanto bene e i soldi si dovevano contare per farli bastare fino al mese successivo. 

In piazza Dante c’era anche il carrettino di Ponzo, che vendeva paste alla crema ma soprattutto bomboloni e frati, le sue specialità. Ponzo che serve bomboloni ai bambini dentro bianchi sacchetti di carta è un ricordo indimenticabile dei miei anni Sessanta, un carrettino malfermo sulle ruote, che conteneva un sacco di cose buone. Quando uscivamo da scuola alle cinque del pomeriggio Ponzo offriva duri alla menta, finti gelati di zucchero, stringhe di liquirizia, dolciumi irresistibili per noi bambini. Sapori che non ritornano, come non torna Ponzo con il suo magico carrettino, se non nel ricordo, nella memoria, nel rimpianto delle cose perdute.

Foto di Riccardo Marchionni

Piazza Dante era la partita di calcio nel grande piazzale, mettevamo i giacchetti per terra per delimitare le porte, oppure prendevamo come riferimento gli alberi e il povero portiere stava messo male, ché la sua porta era davvero indifendibile, vista la distanza da un albero all’altro. Stare in porta era la disgrazia peggiore, quando andava bene si faceva a turno ma di solito toccava al bambino meno veloce, al giocatore più scarso. Finiva che la colpa della sconfitta ricadeva sempre sul povero portiere, in quella piazza che ci sembrava enorme solo perché eravamo bambini, ma non era poi così grande. Piccolo campo sportivo di fantasia dove i nonni narravano avesse giocato le prime partite il Piombino calcio, nel 1921, quando ancora si chiamava Sempre Avantie i tempi erano eroici, da pionieri, non si compravano le partite, ci si contentava di acquistare poveri palloni di cuoio.

In piazza Dante celebravano pure la Festa dell’Unità, la sola occasione per rompere la monotonia del mese di settembre, quando la stagione del mare stava per finire e la piazza dei nostri giochi si riempiva di baracconi dove maialini d’india correvano dentro ruote girevoli, i bambini tiravano fili che regalavano giochi, alzavano tappi di sughero colorati che nascondevano premi, colpivano barattoli con palle di pezza, compravano croccante e torrone dai venditori di dolciumi. La Festa dell’Unità non era la festa della stampa comunista, era la festa del paese, la festa dei bambini, che per quindici giorni spendevano i soldi messi da parte con pazienza durante l’estate, oppure convincevano i genitori a elargire un extra sulla magra paghetta settimanale, scopo Festa dell’Unità, ché non si poteva fare a meno di partecipare al grande circo di fine estate. Capitava che si vincessero bottiglie di spumante, prosciutti, persino polli - te li consegnavano vivi - che andavano prima ammazzati e poi spennati. A volte si vincevano pesci rossi dentro sacchetti pieni d’acqua che morivano dopo due giorni, ma anche piccioni svolazzanti da cuocere al forno. Altri tempi, le cose avevano un sapore genuino, forse soltanto ingenuo, non saprei dirlo. Ricordo che il mondo era diviso in buoni e cattivi, avevamo le idee chiare, tutto era ben definito o almeno credevamo che lo fosse. Troppo tardi abbiamo capito che non era vero ma non per questo abbiamo smesso di frequentare la Festa dell’Amicizia e quella dell’Avanti, non faceva differenza, era importante che ci fossero fili da tirare, barattoli da far cadere, maialini da incitare dopo aver acquistato un biglietto sperando di vincere un pollo da portare a casa.

Piazza Dante era il parco giochi delle prime amicizie, dove andavamo per mano ai nonni mentre i padri lavoravano in acciaieria e le madri mandavano avanti le case. Società paleoindustriale anni Sessanta, appartamenti popolari, condomini anneriti dallo spolverino e rischiarati ogni sera dai finti tramonti della colata continua, bambini che giocavano nei cortili e tornavano con le ginocchia sbucciate, sporchi di polvere di ferro e sudati, convinti di aver giocato la partita più importante della vita in un campetto improvvisato, delimitato dalla fantasia.

Foto di Riccardo Marchionni

Non è più la stessa d’un tempo, piazza Dante. Ci sono le scuole elementari come una volta ma non sono le uniche scuole di Piombino. Ci sono i bambini che escono dai grandi cancelli, ormai solo al mattino, ché i doppi turni non servono, ma il campo centrale è sempre meno frequentato: pare che sia vietato giocarci a calcio e d’altra parte era così anche in passato, ma allora nessuno ci faceva caso. In compenso ci sono frotte di badanti russe e rumene che si danno appuntamento - estate o inverno non importa, tanto per loro fa sempre caldo - a parlare nella lingua madre d’una terra lontana su panchine di legno dipinte con il colore della speranza. Manca da tempo immemore la divisa bianca di Ponzo, il cappello unto calato sulla testa calva, il carrettino pieno di bomboloni caldi disposti in doppia fila in attesa di bambini per mano a genitori e nonni che sembrano usciti dalle pagine di Cuore. De Amicis non c’entra niente con i miei ricordi in bianco e nero, casomai sono una piccola eredità del neorealismo: De Sica e Ladri di biciclette, Zavattini e Miracolo aMilano. Piazza Dante mi ricorda il parco dove Umberto Ddecide di abbandonare un mondo che non riesce a capire. Il cane lo salva, piccolo Lampo cane viaggiatore della mia periferia ai confini del mondo, il cane lo protegge dalla sconfitta e gli fa ritrovare la forza per proseguire.

Foto di Riccardo Marchionni

Piazza Dante resta per sempre la piazza delle scuole, dove ogni tanto incontri la vecchia maestra, le regali un libro, lei ti ricambia con un sorriso, t’illudi che non siano passati troppi anni da quei giorni spensierati ma se abbandoni il sogno, e ti guardi alle spalle, fai appena in tempo ad accorgerti che il tempo migliore della tua vita è ormai passato. 

Gordiano Lupi
© Riproduzione riservata


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