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Attualità domenica 15 settembre 2019 ore 07:00

Ricordando il Magona

Foto di Riccardo Marchionni

Su #tuttoPIOMBINO "Ricordando il Magona" di Gordiano Lupi



- — Lo stadio Magona rappresenta la mia infanzia e la mia adolescenza ma pure qualcosa di più, ché il calcio per me è stato davvero importante almeno fino al 1998, quando mi sono innamorato di Cuba e ho mollato tutto, forse appena in tempo, prima che finisse com’è finito: uno sport violento e truffaldino. 

Allo stadio Magona ho iniziato la mia carriera di calciatore, morta sul nascere, non ero molto bravo, soprattutto non ero veloce e avevo una gran paura di farmi male, tutte cose che contrastano parecchio con il gioco del calcio. Ho cominciato insieme a Roberto Mangoni - lui sì un vero calciatore! -, andavamo a scuola insieme, mi convinse a iscrivermi al NAGC, il Nucleo Addestramento Giovani Calciatori, un nome altisonante per una cosa tanto semplice. Avevo dieci anni, era il 1970 e il Piombino faceva la Quarta Serie, allo stadio andava un sacco di gente, tra i dirigenti del settore giovanile c’era quel grand’uomo di Dino Nassi, alto, slanciato, magro, sorriso bonario e cappello in testa, ma anche un segretario che si chiamava Moscardini, alcuni anni dopo venne Claudio Bianchi, lui per fortuna lo vedo ancora, di tanto in tanto. Tentavo di giocare a pallone sognando di diventare un calciatore, di emulare Mazzola, Rivera, Facchetti, Corso, insomma gli idoli della mia generazione, ma più passava il tempo più mi rendevo conto che non ci sarei mai riuscito. 

Non era cosa per me mentre era cosa per Roberto, che infatti di strada ne fece, povero amico mio, dalla Quarta Serie fino alla sua ultima partita in un campetto sterrato dove il cuore non resse lo sforzo. Ho incontrato un sacco di volte Roberto sui campi di calcio, io facevo l’arbitro, lui il calciatore, professionista come pochi, elegante, sportivo e grintoso. Adesso lo rivedo soltanto nei ricordi, una delle madeleines più struggenti e dolorose del mio passato.

I calciatori mancati spesso diventano arbitri discreti e infatti qualche soddisfazione me la sono tolta, ho cominciato a 16 anni e ho finito a 38, ultima partita in quel di Lumezzane, provincia di Brescia, ma a pensarci bene non me lo ricordo mica, poteva essere anche Catania. Davvero del calcio non me ne importa più molto, ho bruciato persino i ricordi, distrutto i gagliardetti delle squadre, lacerato ogni brandello di memoria anche se è stata una bella fetta del mio passato, non rinnego le giornate passate con i colleghi a discutere di fuori gioco e fallo tattico. Ho girato l’Italia, grazie al calcio, non c’è paesino o città che non conosca e ancora oggi per abitudine la prima cosa che vado a cercare nel luogo che visito, anche se sono in giro per una fiera del libro, è lo stadio.

A Piombino il tempio del calcio è sempre stato lo stadio Magona, ché negli anni Settanta c’era solo quello, poi hanno costruito Calamoresca, Fiorentina e Montemazzano. Non c’era neppure un palazzetto dello sport, se volevi giocare a pallavolo e a basket lo facevi all’aperto, nel cortile delle scuole Fucini o allo stadio Magona. Nuoto, pallanuoto, atletica erano nel caos, non c’erano né piscine né campi scuola, le sole piste di atletica - in terra battuta e non regolamentari - erano al Magona e alle Fucini. Il solo campo da rugby improvvisato era il Valentino Mazzola di Venturina, terreno per un calcio di periferia, dove di tanto in tanto un gruppo di appassionati segnava con il gesso le misure per la palla ovale, smontava le porte e tirava su la sbarra a forma di accaper le trasformazioni. Erano tempi in cui se volevi fare sport la scelta era tra il calcio e il calcio. C’era poco da fare. E noi si sceglieva il calcio anche perché ci piaceva parecchio. Anni romantici in cui si seguiva la squadra del Piombino persino in trasferta, con torpedoni organizzati da club di tifosi, gestiti dal mitico Alfio Callai al Bar Cristallo, che pensava prima di tutto al ristorante, o dal club nerazzurro Il Torrione, al Bar Nuovo, sotto i Portici, in piazza della Costituzione. Non c’erano ancora Sky, la pay-tv, il calcio in televisione a ogni ora del giorno, le dirette televisive nei salotti e nei bar. Era un altro mondo. Per i più giovani che leggeranno per caso queste pagine giuro che è successo davvero, non mi sto inventando niente. Negli anni Settanta si passava persino il sabato sera al cinema e si faceva la fila per vedere Renato Pozzetto e Adriano Celentano. Pare impossibile ma è vero.

Lo stadio Magona emanava fascino, profumo di olio canforato, odore penetrante di erba bagnata, sudore di calciatori in allenamento ma anche di semi e noccioline consumate durante le partite, arachidi tostate e caramellate. Lo stadio Magona dicevano che fosse uno degli stadi più belli della Toscana, racconti di vecchi, dicerie del passato. Ricordo come fosse ora quella tribuna di lamiera verde costruita sopra un’impalcatura accanto agli spogliatoi, adesso distrutta dal tempo, demolita perché pericolante.

Lo stadio Magona non è più da portare a esempio, anzi di tanto in tanto corre voce che ci faranno un centro commerciale e spianeranno tutto, persino i ricordi. Alle partite di calcio va poca gente, parenti e amici dei calciatori, qualche tifoso che resiste, contro le migliaia di persone d’un tempo. Il Piombino adesso è retrocesso in Promozione dopo qualche anno di Eccellenza ma le sue sorti interessano pochi appassionati. Tra questi ci sono anch’io, convinto come sono che la strada del calcio vero passi dal dilettantismo puro e che sia preferibile una partita di Promozione vissuta allo stadio che una finale di coppa in televisione. 

Illudiamoci che il tempo non sia passato, rivediamoci raccattapalle sulla linea laterale mentre il roccioso Alfredo Pierozzi ti dice: “Fai piano ragazzino, che stiamo vincendo”. E tu ti senti importante, ché il capitano del Piombino t’ha rivolto la parola, pensi che il tuo contributo sarà determinante per il risultato finale. Allora rallenti, traccheggi con quella palla, ti metti a giocare prima di renderla al calciatore. Finisce che l’arbitro ti espelle, insieme a tutti i raccattapalle, rei di aver perso troppo tempo. Ma le cose vanno bene e dopo la vittoria puoi rientrare in campo e fare le pernacchie all’arbitro che ha imboccato il sottopassaggio, portare in trionfo i calciatori beniamini che hanno vinto il campionato, possono tornare nella categoria superiore. 

Altri tempi, vecchi ricordi d’una bandiera nerazzurra e d’una televisione locale che immortalava le gesta di piccoli calciatori di provincia. Un mondo scivolato via tra le feritoie della vita, come sabbia tra le dita, come tempo che non ritorna.

Gordiano Lupi
© Riproduzione riservata


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