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Attualità domenica 28 aprile 2019 ore 07:00

Le bisce in amore e i Canali di Marina

Foto di Riccardo Marchionni

Elena Migliorini e Gordiano Lupi su tuttoPIOMBINO propongono la leggenda delle bisce in amore e i canali di Marina



PIOMBINO — La fonte dei Canali a Piombino si trova in via della Marina, a ridosso delle antiche mura cittadine e a poche centinaia di metri dalla distrutta Porta a Mare. La fonte, così come adesso la conosciamo, venne costruita nel 1248 dalla Repubblica di Pisa che allora dominava Piombino, ma attorno a quelle acque limpide e abbondanti si riunirono i profughi di Populonia scacciati da un’invasione di orde saracene. Accadde agli inizi del IX secolo ed è a quella data che si fa risalire la fondazione di Piombino. La caratteristica della fonte è che l’acqua fuoriesce da cinque teste di animali scolpite nel marmo e viene raccolta in pozzetti circolari che, posti in lieve pendenza, la convogliano verso il mare tramite una conduttura sotterranea. Una delle teste è scomparsa alla fine del secolo scorso e inutili sono stati i tentativi per ritrovarla. Le altre raffigurano un cavallo e tre cani molossi, che alcuni studiosi in passato avevano definito lupi o leoni (la testa sparita era anch’essa di cane). Sopra le teste troviamo una Madonna scolpita da Andrea Guardi, la patrona dei marinai piombinesi. 

La fonte dei Canali è stata l’unica sorgente di acqua potabile per la città di Piombino sino al 18 ottobre 1925, data in cui il re Vittorio Emanuele III venne a inaugurare l’acquedotto pubblico. Prima “si andava a prendere l’acqua ai Canali”, come dicevano i vecchi e c’era pure il detto che la città sarebbe morta se la fonte si fosse prosciugata. “L’acqua dei Canali ha un potere magico. Esiste da sempre”, aggiungevano. Ed eccoci al motivo del nostro pezzo: il mistero che circonda la fonte piombinese. 

I Canali di Marina sono conosciuti sin dall’antichità come “Fonte delle bisce in amore” e lo scultore medievale (un anonimo di scuola pisana) volle tramandare il toponimo inserendo nella struttura una raffigurazione di due serpi unite per la testa. Gli storici dicono perché le bisce (o serpi che dir si voglia) si riproducono nei luoghi umidi e quindi la fonte era il posto ideale. A noi invece piace di più la leggenda e crediamo che i fatti siano andati molto diversamente...

Distese sopra una pietra, ai piedi di un’imponente cinta di mura che difendevala città di Piombino, se ne stavano due bisce unite per la testa in un abbraccio eterno. Tranquille, stordite dal sole, innamorate, perdute nel ricordo di un sogno svanito molti anni prima, in un giorno di primavera. Tutto ebbe inizio una mattina del 1504. Una galera papale ben armata era salpata da Genova alla volta di Civitavecchia recando un carico di preziosi. Il Papa in persona aveva preteso che l’equipaggio fosse composto dal fior fiore dei marinai disponibili e soprattutto che venisse capitanato da Paolo Carpegna, il migliore dei suoi ufficiali. Paolo quella mattina scrutava il mare in lontananza. Il vento di maestrale aveva spazzato via le nubi e un cielo terso scopriva le coste dell’Isola d’Elba. Al tramonto sarebbero passati di là e subito dopo avrebbero toccato anche il piccolo porto di Piombino, dove era d’obbligo una sosta per fare rifornimento d’acqua. E allora l’avrebbe rivista. Paolo sapeva che Maria lo aspettava davanti alle fonti e sapeva anche che quello per loro era un giorno importante. Non si sarebbero soltanto sfiorati con baci e carezze d’amore. Ormai avevano deciso. Era giunto il momento di fuggire insieme. Piombino era protetta da mura imponenti, si entrava in città solo dalla porta a terra e dalla porta a mare. Fuori dalle mura si estendevano colline e campi coltivati a grano, mentre davanti al porticciolo, così vicina che nelle giornate limpide pareva quasi di toccarla, si apriva l’Isola d'Elba. Maria viveva in un piccolo quartiere dentro alle mura e quel giorno aspettava soltanto il tramonto. Affacciata alla finestra d’una modesta casa di pescatori, lanciava sguardi ansiosi verso il mare e cercava la sua nave. Fra poco le campane avrebbero suonato l’Angelus, la pesante porta a terra si sarebbe chiusa e poco dopo anche quella a mare. Allora sarebbe stato impossibile uscire dalla città e raggiungere Paolo. I suoi genitori l’avevano promessa in sposa a un ricco commerciante dell'isola d'Elba, un vecchio trafficante che lei non amava e piangeva al solo pensiero che presto sarebbe diventato suo marito. Fu l’incontro con il capitano Paolo a ridarle speranza. Accadde un giorno che Maria andava a prendere l'acqua alle fonti e Paolo si era fermato là per rifornire la nave. Maria lo vide in tutta la sua bellezza che splendeva al sole del mattino: alto, capelli biondi e stupendi occhi celesti. Si conobbero e si amarono. E da quel giorno lei prese ad attenderne l’arrivo, aspettava che sbarcasse per fare rifornimento d’acqua e che le desse un bacio davanti ai gabbiani che si tuffavano tra le onde, vicino alla piazza a ridosso della scogliera. Maria lo avrebbe voluto per sempre accanto il suo dolce avventuriero. Ma i genitori non ne volevano sapere. Fu così che decisero di fuggire. Maria pensava a Paolo mentre guardava il mare dalla piccola finestra che scopriva le scogliere e attendeva il suo arrivo come una liberazione da una vita che non sopportava più. Finalmente la vide. Era la sua nave. “Vado alle fonti a prendere l’acqua” disse. E intanto nascose alcuni denari in una brocca. “Non tardare troppo e passa da Sant’Antimo quando rientri. Prega per tuo padre che torni sano e salvo dalla pesca” le raccomandò la madre. Maria promise, poi uscì di casa e imboccò di corsa il viottolo in discesa, lastricato di grosse pietre. Passando vicino alla chiesa fece il segno della croce e chiese perdono al Santo. Vide mercanti che portavano grosse brocche, anfore e giare di terracotta, altri che arrotolavano grandi tappeti dove avevano steso tessuti e broccati. Paolo la stava aspettando. In fretta, cercando di non dare nell’occhio, la fece salire su di una piccola imbarcazione e insieme raggiunsero la nave. Il sogno si coronava e i due innamorati potevano fuggire. 

Fu quando la nave arrivò presso le coste della Maremma che videro un piccolo vascello. Pareva un’imbarcazione di pescatori e non le dettero molta importanza. La navigazione nel Tirreno era ormai abbastanza sicura e i pirati saraceni da tempo non si facevano vedere. Così il capitano Paolo non si preoccupò più di tanto e lasciò che la sua nave continuasse il viaggio. Calò la sera e il misterioso vascello si accostò alla nave di Paolo senza che nessuno se ne accorgesse. Quando il capitano e i suoi uomini compresero ciò che stava accadendo era troppo tardi. I pirati della mezza luna avevano abbordato la nave e il ponte era invaso da centinaia di uomini armati. Il capitano Paolo Carpegna morì nel tentativo di proteggere Maria dalla loro violenza. La fanciulla venne catturata e portata via per essere venduta al mercato degli schiavi. Ma non ce la fecero. Durante il viaggio Maria si uccise, trafiggendosi il petto con la scimitarra rubata a un saraceno. 

Quella stessa notte due lampi accecanti dalla forma di serpi uniti per la testa squarciarono il cielo e i corpi degli amanti si dissolsero nel nulla. Si ritrovarono all’alba tramutati in serpi accanto alla sorgente della Marina di Piombino. In fondo erano ancora insieme, proprio dove era nato il loro amore. Improvvisamente la luce del sole si spense. Fu un attimo terrificante, l’ombra di una mano calò sui loro corpi di pietra. Le bisce la fissarono impaurite. Con sollievo si accorsero che era soltanto un giovane pastore venuto alle fonti per abbeverare le pecore. Stava disegnando due bisce con una pietra affilata. Lasciarono che il ragazzo finisse il disegno e quindi sparirono per sempre, avvinte in un abbraccio eterno. Però sopra la fonte è rimasta quella scultura di due bisce unite per la testa e ancora oggi il turista le può vedere. Sembrano due animali vivi, addormentati al sole. 

“Sono il simbolo dell’amore” diceva qualche pescatore. “Sono il male, il peccato...” ammonivano le vecchie uscendo da messa. “Sono il simbolo dell’eternità, della speranza...” insistevano le comari. Chi lo sa che cosa erano e che cosa sono? Fatto sta che le serpi sono ancora là, accanto a quella sorgente d’acqua che sgorga e non si prosciugherà mai. “La Fonte delle bisce in amore”.

Testo di Elena Migliorini e Gordiano Lupi

Bibliografia Essenziale

Mauro Carrara - “Pozzi, cisterne e fontane a Piombino nell’antica cintamuraria” – Collana La Tarsinata – Bandecchi e Vivaldi, 2000

Licurgo Cappelletti - “Storia di Piombino"

I disegni e l’idea originale della storia (libera rielaborazione di una leggenda popolare) sono di Elena Migliorini

Gordiano Lupi
© Riproduzione riservata


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