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Attualità domenica 29 aprile 2018 ore 07:00

Finti tramonti

Foto di Riccardo Marchionni

A quattro anni dallo stop dell'altoforno, su #tuttoPIOMBINO un suggestivo ricordo di Gordiano Lupi dedicato alla generazione dei finti tramonti



PIOMBINO — Non ci sono più i tramonti d’una volta, parafrasi consueta del si stava meglio quando si stava peggio, ché nel gioco della memoria il passato pare sempre migliore del presente. Ma a Piombino è vero, la mia generazione è nata con i finti tramonti dell’acciaieria, dispensati a ogni ora del giorno, ben dopo il crepuscolo, persino a notte fonda. 

Avevamo tutto da vincere e tutto da perdere, non immaginavamo che fosse possibile sbagliare quel che abbiamo sbagliato. Ma gli errori sono la vita, in fondo. E una vita senza errori è l’errore più grande. Abbiamo vissuto convinti che fosse così ovunque, un’infinita varietà di tramonti sui quali sognare a ogni ora del giorno, farsi riscaldare il cuore nei momenti di solitudine, perdersi cullando nenie di dolce abbandono. 

Il tramonto rosso sul mare e i tramonti della colata continua dell’Acciaieria, quel residuo ferroso maleodorante ebbro di fascino antico, profumo di lavoro, sudore, lotte operaie, sentore di contestazioni e scioperi, licenziamenti ingiusti, fatica per andare avanti e sognare. Un sole rosso notturno che poteva persino commuovere, incomprensibile per una fredda borghesia vacanziera a caccia di ombrelloni e per il commesso viaggiatore in transito, mentre per noi era un momento fondamentale della vita, uno scadenzario del tempo, un simbolo delle ore che passavano lente. 

Tramonto e odore penetrante, frutto di braccia operaie, sudore di gente afferrata agli scogli che degradano al mare, prezzo da pagare per veri tramonti marini e paranze in canale a caccia di totani, nelle sere di bonaccia. 

Era un mondo compenetrato di mare e fumi, di acciaio e dolci sere d’autunno segnate dal maestrale, di libecciate impetuose e di scorie di ferro che volano nel vento, di sogni nati e sfumati con il triste scirocco, di maleodoranti mattine con il gusto amaro della fabbrica nelle narici. E c’era quel mare compagno delle nostre vite che ci ripagava di quel che mancava. Non avremmo mai cambiato i nostri tramonti, veri e irreali, con freddi lidi distanti dai nostri cuori.

E adesso, quel bambino nato con un cielo che diventava rosso alle ore più impensate non riesce più a capire, ha perduto punti di riferimento e sogni, tra voli di gabbiani anneriti e fischi di sirene. Non è più tempo di colate continue e di altiforni, dicono, ma di ricostruzione, alternativa, progresso, diversificazione. 

Gli occhi restano protesi verso l’alto, però, sarà la forza dell’abitudine, ma un altoforno spento rende questa terra irreale, triste, sonnolenta. E ci mancano gli infiniti tramonti, ci manca il rumore del ferro, ci manca l’odore penetrante della polvere di carbone. Finiamo per sognare di tanto in tanto una casa sporca di fuliggine e un giardino di città, mille sere d’estate passate a parlare mentre un treno corre sui binari e un fumo rosso fuoco si staglia all’orizzonte. Era il finto tramonto del nostro passato. Ed entrambi non possono tornare.

Il testo è stato tratto dal romanzo che sto scrivendo, il sequel di Calcio e acciaio - Dimenticare Piombino. Titolo provvisorio: Sogni e altiforni - Viaggio nel perduto amore.

Gordiano Lupi
© Riproduzione riservata


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