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Attualità domenica 14 luglio 2019 ore 07:00

Il campino degli ulivi

Foto di Riccardo Marchionni

Su #tuttoPIOMBINO "Il campino degli ulivi" di Gordiano Lupi



- — Il campino degli ulivi è un altro luogo perduto, sacrificato sull’altare dell’espansione edilizia. Resta San Rocco, il Parco 8 marzo, il polmone verde affacciato sulla grande acciaieria dove celebrano una Festa dell’Unità in tono dimesso, pallida controfigura della grande kermesse di piazza Dante negli anni Sessanta. Al Parco 8 marzo si ferma pure qualche circo di passaggio, poveri fantasmi del passato che non piacerebbero neppure a Fellini, e un Luna Park natalizio. In altri tempi si fermavano al campino degli ulivi, alle spalle del Bar Stella.

Il campino degli ulivi era il campo di calcio della nostra seconda infanzia, quello che frequentavamo dopo piazza Dante, non appena promossi alla scuola media, quando possedevamo una bicicletta e i genitori ci lasciavano liberi di andare più lontano. Non c’erano telefonini - pure questo è vero, ragazzi, ve lo giuro, non sono sempre esistiti - ma si sopravviveva lo stesso, le mamme stavano un po’ in ansia sino a quando non si tornava a casa e poi si calmavano e facevano finta di niente, ma è anche vero che di automobili ne passavano poche e non c’era tutta questa fretta che si vede adesso, tutto questo stress. Il campo dei frati e la casa del fanciullo erano una tappa successiva, quella del motorino, pure se un motorino mio non l’ho mai avuto, andavo in giro con la bicicletta nera di mio padre, quella dei tempi del mare, e subito dopo con un Morini anni Cinquanta a quattro tempi, ché meglio non si poteva. 

Insomma, si diceva del campino degli ulivi, terreno di gioco ritagliato con fantasia, delimitato da fossati e sterpaglie, con le porte segnate da giacchetti e tute. Il campino degli ulivi era una grande distesa di verde, sterpi e terra, niente di affascinante, solo che non c’erano case e per noi bambini era una specie di paradiso, una terra di nessuno da conquistare, dove disputare partite di calcio fino al tramonto. Facevamo dei veri e propri tornei che coinvolgevano quartieri come le temibili Macerie, ragazzini della Piombino vecchia, dalle parti di Marina, quasi tutti piuttosto bravi con il pallone, ma anche la squadra cuscinetto di via Medaglie d’Oro della Resistenza, la compagine di piazza Dante, i Diaccioni e Montemazzano, che giocavano tutte e due nel campino dietro la chiesa, era una specie di derby. Noi eravamo il San Rocco e ci allenavamo in un campetto che si chiamava il pozzino, dalle parti delle vigne dei contadini e prima della grande azienda di acque minerali, ricordo che tra una partita e l’altra si mangiavano grappoli d’uva - quando era stagione - e si beveva gassosa, tutto rigorosamente rubato, il reato ormai è caduto in prescrizione. Caro Guccini, io lo conosco il sapore dell’uva rubata a un filare, parla per gli altri, forse tua figlia non lo conoscerà, ma la mia generazione conosce pure il sapore dei fichi mangiati sotto la pianta, magari con accompagnamento di gelati. 

C’era un periodo che venne fuori un gusto nuovo Sammontana, una cosa dolciastra che sapeva di caramella mou e si chiamavaToffy; ricordo che con il mio amico Fulvio - adesso è il mio medico, forse lui ha fatto davvero quello che voleva nella vita - mangiavamo fichi e Toffy e quel clamoroso intruglio l’avevamo ribattezzato Ficoffy.

Non divaghiamo. Il pozzino era tutto meno che un campo di calcio, dovevamo fare lo slalom tra gli olivi e in mezzo al terreno c’era una grande cisterna di granito - il pozzino, appunto! - che andava dribblata come un avversario. Le linee laterali erano il maleodorante fosso di San Rocco da un lato e le vigne dall’altro, ricordo ancora le incazzature del contadino quando il pallone finiva in mezzo ai filari. Le porte erano gli ulivi, elemento naturale insostituibile, se una era più grande dell’altra non importava, ci si faceva caso solo se si perdeva.

Adesso il pozzino ci sarà ancora, credo, un giorno o l’altro bisogna che vada a vedere ma in ogni caso sarà sepolto dai palazzi della riforma urbanistica, dai condomini del piano per l’edilizia popolare, in compenso poco lontano hanno costruito un vero campo di calcio, dove gioca la squadra del Montemazzano. Il campino degli ulivi ha lasciato invece spazio alle scuole del Perticale, ai palazzi, ai condomini costruiti negli anni Ottanta e Novanta, in cambio esiste un parco attrezzato per bambini, tutto ben organizzato. C’è persino un centro commerciale, una banca, un negozio Conad, certo, un po’ di verde è rimasto ma non serve a nessuno, al massimo va bene per portare i cani a fare i bisogni. Un poco più avanti c’è un campo di atletica oltre il fosso maleodorante che pare non si possa eliminare, unico punto di contatto tra passato e presente. Ecco, se ripenso al passato scopro una sensazione di anarchia e libertà, mentre il presente è ordine e disciplina, tutto è perfetto ma meno spontaneo, non ci sono bambini che giocano per strada perché passano le auto, non ci sono campi dove inventare terreni di gioco perché hanno costruito palazzi e a calcio si gioca nei campi attrezzati. Forse per questo mi sono meravigliato un sacco all’Avana vedendo bambini per strada giocare a baseball e persino a calcio, sul lungomare tuffarsi dalle scogliere e giocare a rincorrersi tra le onde che scavalcano il muro del Malecón. 

Ora lo so cosa ho visto di fantastico in quei giorni cubani, certo anche le mulatte ancheggianti sul lungomare, non voglio mica prendere in giro nessuno, ma il ricordo più esaltante che mi è rimasto nel cuore è stato il mio passato riflesso negli occhi degli altri. 

Gordiano Lupi
© Riproduzione riservata


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